
Sì troppu beddu Marco Castello
Mia madre, forte del suo status di agrigentina, dissente con Marco sulla scelta grafica del singolo “beddu”, perché secondo lei “beddru”, con la R, renderebbe maggiore giustizia al suono originale. Ma in Sicilia ogni zona ha le sue inflessioni, deviazioni. Voi siete team arancino o arancina? A me non frega un cazzo purché siano quelli di Noto, fumanti e pieni di pesce spada. Pace.
Lo scorso Aprile era uno di quei periodiacci. Vi capita no? Ogni cibo sembra pastoso e ha lo stesso scialbo sapore. Lo stomaco si chiude di netto, come le cosce di quella ragazza che forse ti piaceva parecchio, ma che hai trattato troppo male per avere una seconda chance.
A volte l’incombere dell’età adulta è una cannuccia conficcata nel cervello. Che risucchia tutta la serotonina. Rimangono solo le ansie e quella paura di non essere all’altezza delle pratiche che si ammassano sulla scrivania dell’esistenza: lavoro, relazioni stabili, ambizione, una porzione di verdure al giorno. Così sono scappato da Roma in Sicilia per qualche tempo.
Sto lì su un balcone di fronte al mare, a Trapani, e osservo la bonaccia del primo pomeriggio.
Ehi google fai partire Marco Castello
Per chi non lo conoscesse. Marco Castello è un cantautore classe 93’, siracusano, polistrumentista, laureato in chitarra jazz a Milano. E si destreggia con la penna a passo rilassato e brillante, come tutti i genietti a cui viene fastidiosamente naturale spiccare.
“Mi hai disegnato un cazzo sopra il diario con le orecchie da coniglio e due occhi grandi”
Sbotto a ridere sul balcone, era inaspettato. Porsi, il primo singolo dell’album di esordio Contenta Tu (2021), inizia così. Bambacione ma paraculo.
L’album è ciò che la tua mente ti lancerebbe addosso mentre precipiti da un grattacielo: frammenti sparsi di un quotidiano a cui non prestavi abbastanza attenzione. Ricordi dell’infanzia, flashback dell’adolescenza, i primi amori, e quell’eccitazione sessuale famelica ma ancora goffa. Tutto incorniciato da una certa nostalgia malinconica per qualcosa di leggero che è stato e non tornerà.
“sono già le tre. Forse dovremmo dormire ma questa canzone di merda non vuole finire“
La firma siciliana sull’intera produzione non è tanto il dialetto, quanto quel sarcasmo tipico, con cui faccio i conti da tutta la vita. I siciliani hanno un sarcasmo specifico, un po’ passivo aggressivo, sempre polemico ma soprattutto, sottile! E’ talmente naturale che esce senza smorfia o risatina, non ti avverte. Se lo capisci bene, altrimenti incassa e cambia aria. Ma se vuoi entrare nel cuore di questa gente, devi stare al passo. E’ il sarcasmo amaro, tipico dei popoli che hanno patito qualcosa in più dei loro vicini. Ti mette alla prova. O lo odi o lo ami.
Per la produzione musicale ho solo elogi. Castello fa la scarpetta in un pentolone anni 70-80 per cui stravedo. I Groove che ritornano nei pezzi, il funk, la disco music, chitarre e batteria jazz.
Torpi (i coatti di Siracusa) mi fa ballare, e ritornare quella voglia di cotte estive, quelle che non andavano mai a finire come sognavi, perché a lei piaceva sempre un altro. Voglio ballare ancora, spiando con la coda dell’occhio se mi guarda. Voglio uscire sotto la canicola e farmi tutto il paese a piedi sperando di trovarla a mangiare un gelato. Guardarla da lontano e andarmene mentre mi do del coglione per non essere riuscito a dire nulla. Quanto era più facile quando sembrava tutto difficile?
Intanto una coppia di adolescenti trapanesi si bacia a 4 metri dal mio balconcino. Il maschio la prende per i fianchi, le dice qualcosa all’orecchio e quella lo spinge via col sorriso malizioso. Lui fa uno scatto e l’abbraccia da dietro. Sta quasi per tramontare il Sole.
L’album è finito e parte il secondo, Pezzi Della Sera, uscito lo scorso inverno. La nostalgia è archiviata. Parliamo di questo caotico presente all’alba dei 30 anni.
“Vorrei vorrei vorrei. Sucaminchia degli dei”
I frammenti del quotidiano si arricchiscono di immagini e metafore a volte pregiate, a volte meravigliosamente veraci. Scorrono senza sosta, e diventano dissacranti. Bersagliano la fama, il ben pensare, la cultura di massa, le classi sociali, le mode. Si divertono a storpiare i luoghi comuni, svuotandoli di senso.
“E non so per quale motivo, ma vi vorrei far notare che se ulula allo stadio anche un fascio sa cantare”
Il sacro diventa profano, ed il profano diventa poesia. Torna il sarcasmo siculo al suo meglio, sottile e tagliente, che nemmeno te ne accorgi ma ha già dato una sberla a qualcuno.
“Presto che perdi il treno dell’eterosessualità. Poi vieni incriminato perché segui la moda. Ti insegnano a legnate un po’ di civiltà”
La Sicilia si fa stato mentale. Diventa un modo di vivere la vita, passionale e allo stesso tempo un po’ cinico, sognante ma scafato. Sento la lentezza delle giornate afose che si consumano piano, come un pomeriggio di agosto sugli scogli vicino Agrigento, in cerca dei ricci, anche se la schiena è già viola.
Melo dura 4 minuti e 20 secondi, ma la mia unità di misura sono le 2 sigarette fumate, e un paio di singhiozzi. Perché ha colpito nel segno.
“Lasciami fra le tue gambe, e dammi le tue mani da mangiare. Quello stronzo che hai incontrato che ne sa di noi“
Affondato. Il colpo più traumatico è sempre quello inferto dopo la dolcezza, e questa poesia ti ammazza mentre ti stringe forte.
Questo album è siciliano. Questo album è italiano. Questo album è personale, generazionale ed anche transgenerazionale. Un lavoro denso, geloso della propria onestà e indipendente. E di fatto Marco Castello è un autore indipendente anche carte alla mano. Perché dopo una prima collaborazione con una casa discografica, Pezzi della sera è stato autoprodotto dalla sua stessa etichetta Megghiu Suli (meglio soli. A proposito di quel sarcasmo pungente).
Augurandoci che Marco continui la sua ascesa senza arrendersi alle tentazioni dell’empireo dei risolti sangue blu.
Ripetiamo insieme:
MADONNA DELLE COSCE E DELLE MUTANDINE PROTEGGI QUESTI SOGNI.
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