Scoprirsi senza paura

Non è solo la voce, bella ma graffiante, di Selmi a colpire dritta al cuore mentre canta all’Alcazar. È l’atmosfera familiare che si crea dal primo istante. La dolcezza nello sguardo. La voglia di mettersi a nudo e lasciar scivolare via, strofa dopo strofa, il groviglio di emozioni accumulate. Si, è il primo live a Roma. Sappiamo benissimo che non si tratta di una città facile, neanche quando fa breccia nel cuore con lo spuntare del sole e per Trastevere la primavera sembra gridare da tutti gli angoli.

In fondo è normale spaventarsi davanti a un palco sconosciuto. L’artista toscano che avevamo già imparato a conoscere durante la diciassettesima edizione di X-Factor, però, riesce a far diventare anche un locale visto per la prima volta solo qualche ora prima una seconda cameretta, accogliente, nascosta agli occhi di chi non vuole lasciarsi andare al suo intimo racconto.

SPERIMENTARE SEMPRE

La musica per Selmi è sperimentazione. È rivoluzione continua. È non fermarsi mai, collezionando attimi di esistenza e dando loro nuova forma attraverso la scrittura: insomma, è vita. “Il modo di scrivere cambia con il tempo ma è consequenziale con il maturare della persona stessa. Proprio per la forte intimità dei miei brani, è tutto un proseguire di quello che vivo io a 360 gradi. Per forza di cose si svilupperà, per forza di cose sembro incoerente. Per fortuna, perché altrimenti vorrebbe dire rimanere fermi non solo nella musica, nella vita in generale”.

foto di Matteo Bosonetto

“Non ho scelto un genere e non continuerò a fare quello sempre, è impossibile perché cambierò spero in continuazione. Tante volte, quando raggiungi un pubblico molto vasto, passi per incoerente quando sperimenti. Se un ascoltatore è affezionato a un album del passato di un artista e qualche anno dopo quella stessa persona fa un’altra roba lo accusa per quel cambiamento. In qualche anno una persona può aver messo su famiglia, perso famiglia, viaggiato per il mondo, fatto davvero di tutto. L’ascoltatore spesso non accetta il cambiamento dell’artista perché non viene visto come una persona fisica”.

NESSUN LIMITE PRECOSTITUITO

Nessun limite precostituito, se non una tremenda voglia di lasciarsi andare tra le note per scoprirsi, conoscersi, e soprattutto nessuna voglia di fare compromessi che vadano a soffocare quella verità che come magma continua a infiammarsi sotto pelle e che ancora deve trovare la sua forma (o forse proprio da una sola forma si ribella). È così che la sua identità artistica si sviluppa, di pari passo con la sua crescita e l’esperienza.

LASCIARSI ANDARE AL PUBBLICO

La sensibilità di Selmi è evidente anche quando si trova sul palco, mentre si guarda intorno e beve un sorso di birra, sorridendo dietro al microfono e acquistando confidenza pezzo dopo pezzo, lasciandosi guidare dai cori che si animano nella sala, dall’istinto, dagli sguardi. Non da’ mai per scontato nulla, come il trovare sottopalco dei fan pronti a cantare parola per parola le parole del proprio EP a poche settimane dall’uscita, che già brindano mentre ballano lentamente fuori tempo le canzoni più tristi e si stringono complici quando in quelle più pungenti ritrovano un pezzetto delle loro storie.

“É come se le persone scegliessero di entrare nella mia intimità. Stasera è un esempio di questi. Ho delle mura più grandi della mia cameretta, in cui però continuerò a fare quello che faccio da solo anche se con un energia differente. La sensazione è quella, sono persone che hanno scelto di venire in quel luogo di ritrovo per condividere con me qualcosa, uno scambio a tutti gli effetti”.

foto di Kimmika
SCOPRIRSI

Il primo elemento che emerge in “Perderci nell’Attimo” è una delle qualità fondamentali che rendono lo stile di Selmi, sia nella scrittura che nel suo rapporto con gli spettatori, così unico: la capacità di sviscerare la propria intimità, senza paura di giudizi e senza filtri. È nell’atto di trovare una connessione con la propria anima che parola dopo parola prende forma il suo EP.

Per lui, è “arrivata prima la scrittura della musica. Scrivevo le poesie da molto piccolo con la compagna di mio padre. A fine 2020, nel periodo in cui non sapevo che cazzo avrei fatto della mia vita, scrivere mi è tornato utile nonostante all’inizio avesse un ruolo fine a se’ stesso”.

È proprio dal 2020 che il progetto di Selmi inizia a prendere vita, brano dopo brano, all’inizio senza pretese e solo con l’obiettivo di dare una forma ai propri pensieri, diventando invece poi l’unica strada giusta da intraprendere. La musica non è solo un semplice sfogo, ma “è un po’ come piangere. Quando piangi scendono le lacrime. PIù scendono le lacrime più quella sensazione si restringe e diventa chiara, quindi magari che sia per benessere o malessere inizi a lasciarti andare e quando finisci il quadro si schiarisce. Quando scrivo una canzone il percorso è lo stesso, parto da un sentimento e poi arrivo in fondo al pezzo. Per me il brano termina quando è chiaro quello che volevo esprimere, quello che sentivo, sono soddisfatto, come se avessi smesso di piangere. Lo sfogo sta in questo, nel ruolo che ha di spalmare le emozioni, renderle più visibili, comprensibili, meno invadenti”.

SE FOSSI GIA’ COMPIUTO NON MI SAREBBE UTILE SCRIVERE

In ogni caso, ci troviamo all’inizio di un percorso, in cui per ora a fare da guida è stata l’incoscienza, la voglia di buttarsi nelle situazioni: “se fossi già compiuto non sarebbe utile per me scrivere. Sentire qualcosa, che non è uno stato d’animo ben preciso, mi porta ad avere questa sorta di incoscienza sempre sempre presente. Non penso di essere cosciente su quello che provo in modo totale. Non ci si può conoscere neanche sul letto di morte. È il momento, la combinazione degli eventi. L’incoscienza è anche quella che mi fa fantasticare, o riprendere alcuni ricordi. Il bisogno di aggiungere per arrivare a un quadro completo alla fine del brano. Forse, al contrario, c’è stata poca spensieratezza”.

Faccio cose, vedo gente, scrivo di musica (qualche volta di cinema), cerco di sopravvivere a Roma