
Keywords con Missey
Quello che ogni volta colpisce di Missey è la sua capacità di donarsi, parola dopo parola, a chi l’ascolta. La Ricompensa della Mangusta non è solo il suo ultimo album (bellissimo, e dovreste correre ad ascoltare mentre leggete l’intervista), ma un vero e proprio diario di sentimenti, emozioni, rivincite, lacrime versate e sorrisi che scaldano il cuore.
La mangusta siamo tutti noi, incerti sul nostro presente, dubbiosi sulle strade da intraprendere, sempre in piedi a scrutare un orizzonte che sembra lontanissimo mentre la quotidianità frenetica ci divora. In un viaggio che va dal pop elettronico a un’acustica dolcezza, Missey racconta come trasformare istanti di vita in favole, come smontare le maschere che ci soffocano, come riconquistare tutto quello che ci meritiamo e che troppo spesso non riusciamo a vedere. Mentre su La Ricompensa la voce si spezza e il viaggio di poco più di mezz’ora si interrompe, ogni grande enorme smisurato sogno sembra un po’ più vicino di prima, immerso nella libertà che troppo spesso ci dimentichiamo di avere, senza più limiti, senza più disciplina. La tana è stata aperta, non rimane altro che alzarsi e ricominciare ad assaporare la bellezza. Grazie Missey.
mangusta
Sagoma dritta “in piedi”, muso in fuori mentre cerca di cogliere ogni odore o dettaglio in lontananza che si possa avvicinare e con le zampe che puntano verso l’interno pronte a non intralciare se ci fosse bisogno di correre. Se penso a quest‘immagine nei suoi dettagli, mi vengono in mente tanti momenti miei e di persone mie coetanee mentre cerchiamo di decifrare il presente che viviamo, e come intervenirvici.
maschere
Ne abbiamo di ogni tipo, mi fanno pensare a tante cose viste e lette mentre scrivevo questo disco: Ensor che dipinge “L’entrata di cristo a Bruxelles” come massa omologata e finta in cui rappresenta giustamente anche se stesso, così come alla cover mega iconica di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Invece, nelle creature create da pumetto per illustrare le undici tracce dell’album vedo le maschere dietro cui ci concediamo di rivivere un lato innocente e senza filtri, che giornalmente nascondiamo dietro inibizioni. Questo disco si ispira a tante maschere volendo normalizzarle tutte: ripudiarle e fingere di non vederle rende infelici, mentre l’esperienza che deriva da esse ci
permette di riconoscerle/conoscerci meglio e imparare a gestirle o trasformarle.
FAVOLE
Le favole mi fanno pensare ad una cappa di fumo che sfuma i profili dei mobili all’interno di una stanza, se le finestre rimangono chiuse per troppo. Sta tutto nell’equilibrio con cui le “viviamo” le favole, se diventano un filtro che restituisce leggerezza ad alcune cose che viviamo nella quotidianità per risvegliarci o se diventano una percezione – comfort zone (distorta) di una realtà a senso unico, che fa venire voglia di allontanarsi dal cuore delle cose. Raccontarsi favole e Merzbau! sono legate da questa riflessione.
viaggio
Rubare con gli occhi, ascoltare, parlare. Per me il viaggio è sempre stato un concetto fisico o mentale allo stesso modo: ho preso molti treni non facendo caso a nulla fuori dal finestrino o proprio fuori dai miei pensieri, ma a volte ho percorso km immaginari chiacchierando con persone o ascoltando musica, e di colpo il punto di vista “dove” mi ero svegliata il giorno prima, non era più lo stesso in cui avevo aperto gli occhi quello dopo.
fuori tempo
Grande paura mia e di molti: arrivare fuori tempo, rimanere indietro nel passato e sparire. Quando il confronto col “tempo” che vediamo fuori diventa perenne confronto e ossessione, è come vivere in allerta sempre, proprio come una mangusta. Anni fa ho studiato e approfondito la semiotica, una branca della comunicazione che analizza la parola, il suo significato, il modo in cui viene espresso e i processi con cui ad esempio un modo di dire nel tempo ci diventa familiare.
E mi ritrovai così in tesi a ragionare di Tedua, come penna molto forte capace di tradurre alcuni tratti della contemporaneità in un modo che riusciva ad avvicinarsi molto alla vite del suo pubblico, anche se paradossalmente attraverso uno stile molto personale e distinguibile. E infatti in quegli anni come oggi è ancora criticato per il suo approccio ritmico e flow “fuori tempo” per fare un gioco di parole, e comunque anche dopo anni, oggi riempie palazzetti di persone che non potrebbero non immedesimarsi nelle sue parole e sentire condivisa un’energia con loro uno ad uno. Questo esempio per dire che fuori dal tempo preimpostato ritengo che siamo capaci tutti di una nostra unicità espressiva, che ci fa accettare il nostro “tempo” e abbracciare meglio il nostro io, e quello delle persone che ci sono intorno.
rabbia
Una volta parlando con una psicologa di momenti di svalutazione improvvisi che di colpo nutrivo verso persone a me vicine, mi domandò se non pensassi che forse quella rabbia che sentivo montare, più che essere mirata a qualcuno in particolare, non fosse insofferenza nei miei stessi confronti data dal modo in cui stavo “manifestando” la mia persona e pensieri nella vita di tutti i giorni, rimanendo sulla soglia delle cose e senza lasciarsi andare mai. Leggere con lucidità questo comportamento: quel sentirmi sempre vittima delle cose, “sempre per colpa di qualcun altro che in realtà non mi aveva capito”, mi ha innervosito e fatto sentire in colpa nei confronti della mia stessa persona. Quel giorno ho sono cambiate delle cose, quelle parole mi hanno ispirato tantissimo e ho scritto La ricompensa poco dopo.
ricompensa
Questo termine gira sempre intorno a questioni di merito e di pseudo-tranquillità relativamente a mire socialmente approvate prima da altri. Stamattina X app mi ha notificato lo sblocco di una nuova funzione per generare maggiore visibilità sul mio profilo cominciando testualmente così “Ecco la tua ricompensa! Da oggi puoi …..”. Qualcosa che ci dice quale è la nostra ricompensa e ce la fornisce quando stiamo per abbandonarla o se stiamo performando tanto e bene, cosa significa davvero per noi e il nostro benessere?
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