In viaggio Dallinferno

Filippo Dallinferno ha un immaginario forte e definito – sacrosanto rock, vivido, psichedelico, iperdenso. Già dall’uscita un anno fa del primo estratto All’Ombra di Venere il ritorno al suo progetto solista preannunciava un album notevole. L’aspettativa non è stata minimamente tradita e l’uscita è già, con evidenza, una perla rara dell’underground italiano. Ne abbiamo voluto parlare un po’.

dodici anni dopo

Benvenuto Filippo. Dunque, è recentemente uscito Aquarius, il tuo secondo album, a dodici anni dal self-titled album di debutto a cui è seguito il solo singolo Fammi Sputare Sangue, del 2020 – se non si vuole considerare la VHS Session di Ti amo folle, brano poi riproposto in apertura a questo nuovo disco. Nel frattempo, le tue avventure musicali sono state molteplici. Qual è stata l’esigenza che ti ha portato alla realizzazione di questa seconda uscita?

Ciao, e grazie dell’invito. Il processo creativo che ha portato a questo album nasce dopo 3 anni di intensa attività live come chitarrista. Credo che a giocare il ruolo più importante sia stato, più che la musica, il costante essere in viaggio. Girare tutto il mondo, conoscere nuovi posti, incontrare persone diverse e parlare altre lingue apre enormemente gli orizzonti della mente e consente di immagazzinare immagini e sensazioni stimolanti. Inoltre la condizione di viaggiatore costringe ad un introspezione sincera, che per me è l’ingrediente fondamentale della fase creativa.

Aquarius è un album che hai registrato e prodotto tu stesso in prima persona, e la cura di ogni dettaglio appare evidente già al primo ascolto. Com’è stato il processo di realizzazione dei suoi brani, dall’idea alla forma finita?

L’approccio a questo lavoro è stato davvero poco convenzionale. Tutto è nato da una sorta di flusso di coscienza chitarristico. Nella sua fase embrionale si trattava di una singola traccia strumentale da 28 minuti, con chitarra e batteria come unici elementi. L’idea di farne un album è arrivata successivamente, molti dei testi si sono materializzati in maniera naturale e col passare del tempo mi sono accorto di avere tra le mani un disco.

la dimensione live

Riprendendo la domanda precedente: il sound del disco ha una forte impronta live, ed è già partito con le prime date il tour di presentazione. Come vivi la dimensione del live con questo progetto, avendo tu alle spalle un’attività live particolarmente corposa?

Il live è la mia dimensione ideale, è la formula con cui riesco ad essere più espressivo in assoluto. È un disco che dal vivo richiede grande intensità ed energia e che si trasforma un po’ ogni volta che lo suoniamo. I testi contengono molto della mia personalità, in un certo senso mi mettono a nudo, cantarli a gran voce mi provoca sempre un emozione intensa.

seventies & featuring

Prendendo i testi dell’album emerge una quantità d’amore densa che occupa la maggior parte della tracklist. Assieme a questo, il titolo del disco fa riferimento all’Era dell’Aquario, il cui arrivo dovrebbe marcare una variazione considerevole sulla vita dell’umanità. Unendo a questo un immaginario che strizza l’occhio ai seventies fin dalla copertina, la domanda sorge spontanea: quanto guardate, questo disco e te come artista, a quella decade?

Il mio background più radicato si rifà proprio a quel periodo storico. Questo album non solo ne è testimonianza ma vuole anche essere un tributo all’approccio verso l’arte e l’esistenza tipico di quegli anni. Non amo particolarmente i revival, cerco di evitare i cliché più estetici e cerco invece di cogliere quello stesso punto di vista adottando soluzioni il più personali possibile.

Nel disco figura un solo featuring, ma dal peso considerevole: si tratta di Charlie Musselwhite, armonicista a dir poco leggendario, che traccia con questa collaborazione una continuità col tuo passato da bluesman. Com’è avvenuto il tuo incontro con Charlie?

Tutto è nato grazie al mio manager Michele Gatti che per altri motivi era in contatto con l’entourage di Charlie. Gli abbiamo mandato il brano ed è nata questa collaborazione. Purtroppo non abbiamo passato del tempo in studio insieme, le armoniche sono state registrate nello studio di Gary Vincent a Clarksdale, Mississippi, in ogni caso parlare e scambiare messaggi con Charlie è stata una grande emozione, qualcosa di cui forse devo ancora rendermi conto completamente.

una porta aperta

Il brano di chiusura dell’album, Esseri Umani, termina l’esperienza di ascolto con una parentesi aperta, con un’intenzione che tende a distaccarsi dai brani precedenti pur senza abbandonarli. Considerando che presenti questa uscita come un concept album, qual è il significato che vuoi dare a questo finale?

Esseri Umani è un cosiddetto outro, un macro contenitore per tutta l’umanità racchiusa nei brani. Insieme ad Alla Fine rappresenta la conclusione di questo viaggio e lascia intravedere l’inizio di qualcosa di nuovo. La metamorfosi è avvenuta, le esigenze e le urgenze sono state soddisfatte e, come succede nella vita, si è pronti al passo successivo e si può lasciare la porta aperta a ciò che verrà.

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